La società inadatta

resistere, società, inadeguatezza,lavoro giovani, 2000, ilalia, bel paese, ragazzi disoccupati, disoccupazioneGli amici sono la cosa più bella del mondo. Ma, in tutta franchezza, non servono a un cazzo. Si è sempre soli. C’è chi dice che il vero amico si vede nel momento del bisogno ed io sono d’accordo: il suo bisogno.
Quando c’hai un problema è bello avere un amico che ti ascolti, e sai che ti dice? Quello che tu diresti a lui in una situazione analoga: parole totalmente inutili. Inutili per te, chiaro. Quel povero cristo sta a là a dirti tutto quello che ti diresti da solo se fossi al suo posto, ossia cose di cui non te ne fai niente. E superata la soglia del macina testicoli, lui torna alle sue scartoffie, al suo lavoro o se, come sovente accade, non ha un impiego, al suo cazzeggio che di certo è ben più interessante delle tue paranoie sulla vita, sull’amore e sulla morte. Ma perché cazzo ci interroghiamo su questi argomenti, così dannatamente demodè?
Te lo dico io perché: hanno creato una società nella quale ci hanno forzatamente impiantati e ci hanno indotto sogni, aspettative, velleità. Ma la società è fallita. Niente più boom economico, seicento Fiat. Niente di niente. Il bel paese di ‘sto cazzo. E intanto imperversano gli iPhone e se non c’hai l’iPhone sei outsider e se sei outsider ti viene la depressione. Così chiedi i soldi a mamma e papà per il consulto psichiatrico. Allora? Potevano cambiare almeno le aspettative, che ci vuole? Basta bombardarci con pubblicità diverse, che ne so, magari qualcosa che rappresenti il rurale, la campagna, la semplicità… Così tu non ti vedi più a 40 anni con la casa, la villa, il lavoro, due figli e il recinto. No va bhè il recinto è troppo americano, ma ci siamo capiti. Immagina che bello se la nostra aspettativa fosse vivere in una casupola di campagna, coltivare un piccolo fazzoletto di terra e bere il tuorlo rosso di un uovo appena uscito dal culo di una gallina. Bello vero? Ma che ci guadagnerebbero… Allora meglio creare desideri che la gente non può soddisfare, irrorare così frustrazione, generare depressioni e false patologie, incitare alla morte, all’inadeguatezza, all’imbarazzo, all’inautenticità.
E va bene, accomodatevi pure, tanto noi, noi giovani, il futuro di un paese che sta cadendo a pezzi, resisteremo. Pochi, i peggiori forse, i pochi che non vivono di firma accattateville, di discotutteuguali e che sanno andare nel profondo, i giovani che oggi si siedono accanto a voi e vi spiegano come usare un iPhone ma non si spiegano perché voi ve lo potete comprare e noi no. Noi, in un modo o nell’altro, in questa merda fatta di sogni delusi, tempo non giusto, istruzione negata, identità lavorativa privata, possiamo dire di aver vissuto una vita che andava vissuta. E questo nostro malessere momentaneo ne è la prova, noi possiamo dire che non siamo stati parte, se pur non volontariamente, di un sistema che ci vede replicanti di un lavoro, dopo lavoro, famiglia, lavoro, dopo lavoro, famiglia, lavoro, dopo lavoro famiglia…

9 pensieri su “La società inadatta

  1. michele

    Inevitabilmente è una condizione che si trascina da secoli, per esempio agli inizi del 900, attraverso i letterati poi l’alienazione operaia, sino al 68 inoltrato con l’emancipazione giovanile e sessuale.
    Sta di fatto che questo “sistema” (per dirla come i pensatori francofortesi) si è ormai consolidato da secoli, come nelle più antiche rappresentazioni teatrali così come nelle bellissime pubblicità l’uomo ha sempre manifestato il desiderio di proiezione e desiderio delle proprie aspettative e fantasie ma anche, in questo modo, delle proprie frustrazioni, quindi paure e insicurezze. Così i media hanno utilizzato a proprio vantaggio queste insicurezze per indurre sempre più il consumatore, di certo a non pensare che ha bisogno di quello o di quell’altro ( perché in effetti si può far almeno di molto) ma che desidera quello o quell’altro per appagare un se stesso insicuro e frustrato. Il prodotto pubblicitario è sempre meno un prodotto reale e sempre più un oggetto mentale un qualcosa che affermi e mostri il proprio status sociale. Siamo in una società liquida, nel tempo e nello spazio ma sopratutto nei rapporti sociali, tutti chiusi in micromondi, costruiti sull’affermazione di se e la ricerca di conferme e sicurezze come: contratti a tempo indeterminato, relazioni di coppia, amici, dipendenze. Si dipendenze, perché proprio quelle, le più consuetudinarie danno sicurezza. Come il mettere “Il Fumo Uccide” sulle sigarette non ha fatto altro che consolidare una dipendenza innanzi all’incertezza delle morte. In questi micromondi il mondo esterno non vi ha accesso, per questo nemmeno i problemi di un amico vi possono entrare e destabizzare un già precario equilibrio. Ma come opposto quel micromondo deve avere reale ma virtuale possibilità di essere sempre connesso con il mondo, in un movimento che è unilaterale dall’interno verso l’esterno e mai opposto.
    Per quanto riguarda la cultura poi, bè in Italia siamo messi male, le nuove generazioni, e hanno ragione, non credono nell’istruzione statale, troppo ferma su pratiche e modi ormai superati, in più i media li e ci bombardano di vicende, storie e vite romanzate che diventano per noi bagaglio di cultura ESPERENZIALE.

    “un uomo cadendo da un palazzo di 50 piani, per farsi coraggio a ogni piano si ripete,
    “per ora tutto bene, per ora tutto bene…” ( dal film L’odio”).
    La caduta del capitale.

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    1. Dalila Micaglio Autore articolo

      Non posso che ringraziarti per questo brillante intervento. La società liquida, i micromondi, oddio, come possiamo capire davvero dove finisce ciò che gli altri vogliano che siamo e dove inizia il vero noi?
      Un caro saluto, Michele

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  2. michele

    Dimenticavo, la cultura “esperenziale” è quella che accetta i dati come oggettivamente veri e per economia mentale assunti come dati di fatto dagli individui, ciò comporta, certo si a una velocità di pensiero, relazione e associazione ma anche l’assenza delle domande più immediate, il come e il perché, infatti non ci si interroga sul perché e come certe cose funzionino (oggetti di uso quotidiano per esempio), così come si è portati a rifiutare e a temere ciò che non si conosce, come l’omosessualità, con conseguente non accettazione nell’omofobia, così come per l’interculturalismo, tutti spaventati da probabili e eventuali “contaminazioni” da chiudersi nella propria senza accettare l’altra e magari non riconoscere in quella tanta storia e tradizioni comuni. Sta di fatto che questo tipo di cultura è la più semplice da indurre, diffondere e mantenere.

    Dalila io ringrazio te, non solo per lo spazio ma anche per la tenacia e cura con cui coltivi un interesse sempre più raro, la cultura.
    Non posso rispondere alla tua domanda, un vero noi non esiste, così come nella comunicazione l’uomo è sempre in divenire, in base al contesto, agli interlocutori e al rapporto sociale che incorre tra gli stessi.
    Agli inizi del 900 agli albori della società di massa Pirandello scrisse “Uno nessuno e centomila”, nessuno può più essere autentico nemmeno con se stesso, ciò comporterebbe il mettersi in discussione e accettare limiti e quindi le proprie paure, l’unica conseguenza quindi è essere Soli (uno), temere la solitudine e quini il non riconoscimento sociale (nessuno) o, essere una molteplicità di soggetti nello stesso individuo, in contatto con altrettanti virtuali individui (centomila).

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  3. guidodamiano

    Dalila, la tua rabbia è sana, comprensibile e condivisibile. E’ la mia stessa ed è la stessa di tanti miei amici, colleghi, compagni di avventura (anche se si potrebbe dire di sventura). Ma passata questa fase ti invito a riflettere sulla possibilità di cambiare.
    Cambiare tu, nonostante tutto. Talvolta basta questo e sembra che cambi tutto. Non voglio fare l’inguaribile ottimista, no di certo! Non possiamo cambiare il mondo intero, ma possiamo, comunque, dare il nostro contributo.

    Ho letto con piacere il contributo di Michele. Voglio dirgli, però, che arroccarsi in una posizione di presunzione, basata sulla conoscenza e sulla “cultura”, è il primo passo per finire a commettere gli stessi errori di chi non accetta il diverso.

    Perché anche chi non ama leggere e studiare è diverso da chi lo fa, semplicemente come lo è chi ha la pelle di colore diverso, o professa una differente religione o ha tendenze sessuali differenti. Non dimentichiamoci che la prima causa di distanze sociali è la religione che si basa sulla dottrina e quindi sulla “cultura” religiosa.

    Quindi cara Dalila, sfoga pure la tua rabbia! Ma non ti arrendere, perché l’espressione del dissenso è il primo passo per la propria affermazione.

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  4. traslochi

    Sono impressionato dalla qualità delle informazioni su questo sito. Ci sono un sacco di buone risorse qui. Sono sicuro che visiterò di nuovo il vostro blog molto presto.

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  5. Dr. K

    La società occidentale, talmente vituperata, permette a chiunque di sentirsi importante dicendo quelle 2-3 banalità ad effetto. Spero che l’Islam ci spazzi via, e dia la giusta libertà a tante teste pensanti dai loro corpi “ingombranti”… tramite un ceppo ed una scimitarra ben affilata.

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